エピソード

  • Pleujouse
    2024/10/07
    Pleujouse si nasconde, discreta, ai margini delle grandi vie di comunicazione. Sembra esistere in una piega del tempo, dove la modernità arriva attutita e la valle stretta si svela lentamente davanti agli occhi come una rivelazione. Il bosco che avvolge Pleujouse respira e vive in una sua dimensione separata, i sentieri si snodano, quasi timidi, come se sapessero che qui il vero protagonista è il silenzio. Quel silenzio che avvolge tutto, rotto solo dal fruscio del vento tra le fronde o dal suono lontano di un ruscello. Poi, all’improvviso, la valle si apre a te: le terrazze naturali si fanno palcoscenico e si dispiegano gradualmente verso il fiume, i frutteti si allargano come una promessa, e gli alberi carichi di piccole prugne violacee si muovono al ritmo del vento. Senti un odore dolce nell’aria: è il profumo della Damassine, il liquore che porta in sé l’essenza di questo luogo, prodotto qui da tempo immemore. Il castello, lassù sulla roccia, intanto ti osserva mentre ti riempi i polmoni. La sua torre venne eretta nel 1100, poi cadde, poi fu ancora ricostruita. Il màstio circolare del 1700 veglia sulla valle, proteggendola dal mondo esterno. Eppure, il castello non è solo una fortezza; è una casa, un luogo che si porta dentro tracce di vite passate, di amori e dolori, di segreti sussurrati tra le mura. Hai la sensazione che il castello sappia tutto di chi lo ha abitato e di chi ancora lo abita, e che forse adesso sappia anche qualcosa di te. Più a valle, le fattorie sono sparse lungo i fianchi della montagna: sono protette da giardini fioriti e alberi da frutto, e ti sorprendi anche tu a immaginare i tronchi dei prugni, a staccarne qualche frutto dai rami. Infine, piccola e silenziosa, ecco la cappella di Notre-Dame de Lourdes: sembra nascosta apposta per chi sa cercarla, e già sai che è un luogo di preghiera, sì, ma anche un rifugio, un angolo dove il mondo sembra fermarsi per un secondo. Ecco Pleujouse: un luogo che cambia lentamente, e che lentamente sempre respira. Qui il tempo è una linea morbida, un fiume che scorre senza fretta. E in questo scorrere, senti d’un tratto una sorta di magia.
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  • Le Pont
    2024/10/07
    Le Pont è un piccolo villaggio incastonato tra le montagne, dove hai deciso di fare tappa per la giornata. È un luogo di cambiamenti, simbolo forse della modernità che incombe, e puoi vederli dappertutto: nelle case e tra le sue strade, nel maestoso hotel e nell’antica struttura del villaggio ancora intatta. Ma partiamo dall’inizio: al principio Le Pont viveva di agricoltura e produzione casearia. Il tempo, per molte generazioni, venne scandito dal lavoro nei campi e dalla cura degli animali, finché, nel XIX secolo, qualcosa cambiò: all'alba di un'altra era, fecero la loro comparsa i primi laboratori di orologeria, e in breve tempo si moltiplicarono. Le Pont cambia. E ancora, nel 1886, qualcosa si mosse: la valle di Le Pont venne collegata alla rete ferroviaria con Vallorbe. Le Pont, con la sua posizione pittoresca e il suo paesaggio mozzafiato, divenne improvvisamente una meta ambita dai turisti stranieri. Le vecchie fattorie vennero riconvertite in eleganti abitazioni, le facciate ristrutturate, il passato in qualche modo coperto: chissà perché, l’origine rurale degli edifici venne celata ai visitatori. È strano e affascinante, mentre passi accanto alle case più sfarzose, immaginare il nocciolo duro delle loro fondamenta, l’origine umile, i contadini che per generazioni vissero lì dentro. Nell’epoca della grande ristrutturazione sorsero nuove costruzioni, ed eccoti ai piedi del maestoso «Grand-Hôtel»: dalle alture del villaggio domina la vista, e tu immagini una Belle Époque di turisti stranieri, e balli e bicchieri di vino. Passeggi per le strade di questo villaggio, e ti accorgi però che qualcosa rimane: rimane la struttura storica delle case, disposte in un arco che segue le rive del lago, rimane il fronte unito delle abitazioni, che si abbracciano e ancora sembrano ricordare la solidarietà e la comunità con cui tutto è iniziato. Rimangono strette viuzze tra una casa e l’altra. Sul retro, ecco ancora corti, giardini e frutteti, piccoli angoli di verde che ricordano la vita di un tempo. Ti sembra quasi di sentire il rumore delle ruote dei carri che attraversavano queste strade, i suoni della campagna e quelli dei laboratori di orologeria, le risate dei turisti che ammirano il paesaggio. Sembra che tutti i tempi coincidano, che i contadini, gli artigiani e i visitatori stranieri siano in un unico luogo, in un unico momento: quel momento è ora, quel luogo è Le Pont. E oggi, ci sei anche tu.
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  • Hemberg
    2024/10/07
    C’è un luogo dove la cresta di una collina è immersa tra prati e pascoli a perdita d’occhio. Da lì sopra si vede la forra del fiume, e si vedono altre colline ondulate che sembrano quasi spostarsi col vento, enormi colossi gentili. C’è questo luogo, che è reale, eppure sembra inventato da un artista generoso, che dipinge col sole negli occhi. Sei a Hemberg: un villaggio immerso nel verde, tra le cui storie stai passeggiando. Ci sono due poli, già lo vedi: in alto, nell’Oberdorf, la vita si sviluppa attorno alla chiesa cattolica, il cui campanile si staglia fiero contro il cielo. Gli edifici qui sono semplici, in legno, e hanno tetti spioventi che raccontano di un’architettura rurale radicata nella tradizione. Il villaggio, un tempo, fioriva per l’agricoltura: nel 1700 e nel 1800 il piccolo borgo prosperava grazie alla produzione della mussolina, un tessuto leggero e pregiato. Lungo la strada principale che ti porterà nella parte bassa del villaggio, ogni edificio sembra una memoria architettonica del benessere di quei secoli: fianchetti imponenti case tardo-barocche, le tipiche Toggenburgerhäuser, costruite in legno su solidi basamenti in muratura. Hanno facciate decorate a boiserie, in tonalità chiare, e finestre allineate in perfetta simmetria. Finalmente raggiungi l’Unterdorf, il nucleo inferiore, e l’atmosfera cambia: la lunga stradina e la piazza si sviluppano su un anticlinale, dando vita a un piccolo agglomerato di case e attività. La chiesa riformata, con la sua torre, domina questa parte del villaggio, e le case tardo-barocche si incapricciano per la loro ricchezza, se fossero vive si passerebbero la cipria sul naso. Il clima è fresco, la vista è generosa: non fai fatica a immaginare un altro tempo in cui commercianti e artigiani vivevano al meglio. Anche oggi, però, la vita qui è dolce: le colline dell'Appenzello e del Toggenburg si muovono nel sole del tramonto, e tu vorresti rimanere ancora un po’, giusto il tempo di capire se sono davvero enormi colossi gentili, se respirano la stessa aria che respiri tu.
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  • Ernen
    2024/10/07
    Sopra alla conca valliva di Fiesch, nel parco naturale della Valle del Benin, c’è un terrazzo naturale: incastonato là sopra, come uscito da una favola, ecco Ernen. Viene voglia di fermarsi per un po’, di rimanere a guardare: e in effetti, per secoli, il paese è stato un punto di respiro, di passaggi e di soste, per i viaggiatori e i commercianti diretti ai passi della Furka e del Grimsel. Solo nel 1861, con l'apertura della strada della Furka sul lato opposto della valle, il suo destino è cambiato, rimanendo un luogo sognante - sì-, ma non più battuto. Eppure gli abitanti e le autorità non si sono persi d’animo: Ernen meritava più dell’oblio. Nel 1943, sono state adottate misure per proteggere il patrimonio architettonico e culturale del villaggio, permettendogli di brillare ancora. Mentre cammini, allora, ecco Ernen: giardini e frutteti circondano il villaggio in un abbraccio semicircolare, oltre la terrazza e nel nucleo storico, tra un vicolo e una piazzetta, giureresti di sentire una musica che spezza il silenzio. Proviene da chissà dove, e ti guida nel tuo cammino. Il sole pomeridiano illumina le facciate tipiche del Vallese degli edifici residenziali, rendendo i colori più caldi, più vivi, mentre qua e là piccole piazze e giardini interrompono la densità delle case. Mentre ti affacci a sbirciare i vicoli acciottolati e segui quella specie di melodia, quasi per caso ti imbatti nella piazza principale. Sei al centro del villaggio: la piazza è circondata da edifici prominenti, tra i quali ti cattura il «Tellenhaus». Fai ancora qualche passo, e ti ritrovi all’interno del palazzo: qui c’è una delle più antiche raffigurazioni di Guglielmo Tell, l'eroe nazionale svizzero, un simbolo di libertà e resistenza. Portati i tuoi omaggi, spingi lo sguardo un po’ più in là: ecco che scorgi anche Sankt George, la chiesa tardo-gotica costruita tra il 1510 e il 1518. Scoprirai, se deciderai di raggiungerla, che è un piccolo capolavoro architettonico, con magnifici arredamenti interni: ma intanto la guardi da qui, nella sua tronfia posizione sopraelevata. Vuoi fermarti ancora un po’ qui nel centro, c’è quella musica che ti chiama. Ecco, non te l’eri certo immaginata: presto capisci che Ernen è un villaggio della musica. Ogni anno, la Società «Musikdorf Ernen» organizza un festival di musica classica, e le note di compositori celebri risuonano tra le antiche mura, mescolandosi con il silenzio delle montagne. Sei arrivato nel momento giusto: Ernen, oggi, la riesci a sentire con tutti i sensi.
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  • Sent
    2024/10/07
    Eccoti in arrivo, viaggiatore solitario o in compagnia. Sei a Sent, un villaggio incastonato tra le montagne dell’Engadina che oggi ti accoglie, ma che in passato ha salutato spesso i suoi abitanti, vedendoli andare via. Sent è stato un villaggio d’emigrazione sin dal 1600: molti lasciavano casa propria, salutavano i parenti rimasti in paese, e partivano alla ricerca di fortuna. Casa, però, parla a voce alta: ti chiama, vuole che torni. Così, in tanti sono tornati. Erano diversi: diventati mercenari, pasticcieri e commercianti. Erano uguali: amavano ancora il paese natio. Quel che è successo, quindi, è che Sent si è trasformata: si è riempita di case signorili, con eleganti frontoni ricurvi chiamati Senter-Giebel, sono state erette magnifiche residenze per dare sfoggio della ricchezza duramente conquistata. Lo vedi dappertutto, nei vicoli e negli edifici, ma soprattutto nella grande piazza centrale: con la sua maestosa fontana, sembra essere il cuore pulsante di Sent, un luogo di incontro e di comunità. Eppure Sent non è solo testimone di trasformazioni desiderate, ma anche di tragedie al di là dell’azione umana: più di una volta è stata devastata da incendi spaventosi, il più terribile dei quali, nel 1823, costrinse gli abitanti a ricostruire gran parte delle loro case. Per questo, oggi, resistono poche fattorie tradizionali dell’Engadina: superstiti miracolate dei roghi, ancora solide e dai tipici tetti spioventi. E tu pensi che forse, se sono ancora qui, è perchè Sent meritava di tener viva la memoria delle proprie radici contadine. Altre rovine, a memoria del passato, si ergono all’estremità occidentale del villaggio: sono le monumentali rovine della chiesa di San Peder, che se anche sulla carta sono di proprietà privata, appartengono alla memoria di tutta la comunità. All’orizzonte, infine, ecco la chiesa di San Lurench in stile tardo-gotico, che si staglia contro il cielo. La vedi già da lontano, come un faro o una promessa di grandezza, che in fondo, pensi, guardandoti ancora alle spalle, è stata mantenuta.
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  • Stans
    2024/10/07
    Il sole si riflette delicatamente sulle acque cristalline del Lago di Lucerna, e sembra quasi rimbalzare fino a qui: passeggi tra le vie di Stans, e a ogni angolo fa capolino uno scorcio di cielo e di montagna. Il paesaggio è dominato dalle imponenti cime dello Stanserhorn e del Buochserhorn, e presto scopri che questo villaggio è fin dalla sua fondazione, nel 1400, centro politico, religioso e culturale del Canton Nidvaldo. Non fai fatica a capire perché: sei arrivato nella piazza principale, la «Dorfplatz», che si apre davanti a te come una stella, con tutte le strade che vi convergono. Dorfplatz è incorniciata da case signorili, ricche di dettagli architettonici e colori, e custodisce, al suo centro, la chiesa con il campanile. Le case ti parlano dei signori di Stans, la chiesa delle sue autorità, mentre una fontana e un monumento tengono viva la memoria di un personaggio in particolare: si tratta di Arnold von Winkelried, l’eroe di Sempach che secondo la leggenda si sacrificò per permettere la vittoria dei Confederati. Cammini ancora: di Stans c’è molto da vedere, non solo il centro. Ecco allora il margine superiore del villaggio, con l’ex convento dei Cappuccini, il cimitero custodito da mura antiche, e il convento di Sankt Klara: qui, dopo l’invasione francese, molti bambini trovarono una casa grazie a Heinrich Pestalozzi, direttore dell’orfanotrofio che trovò sede nel convento. Decidi di esplorare anche la «Winkelriedhaus»: è un’antica casa patrizia con forti influenze rinascimentali, fra le cui mura sono passati i personaggi politici e culturali più importanti di Nidvaldo e che oggi ospita anche il museo cantonale. Concludi la giornata nell’unico modo possibile: salendo sullo Stanserhorn, grazie alla storica funicolare. Da qui il Lago di Lucerna si stiracchia placido, facendo rimbalzare la luce del tramonto di qua e di là; le vette sembrano proteggerlo, e tutto intorno a te c’è solo azzurro, e verde di mille sfumature, e i tetti delle case che, a ben guardare, appartengono anche a Stans.
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  • Osignano
    2024/10/07
    Osignano è timida, adagiata contro la collina: si protegge le spalle, e se ne sta accoccolata nel suo angolo di mondo: sei nella Valle del Vedeggio, ai piedi del maestoso Monte Tamaro. Tra i ciottoli delle strade più antiche spuntano mazzi di erbe e di fiori: potresti raccogliere qualche dente di leone selvatico, eppure Osignano è tanto bella così, che preferisci passeggiare tra i suoi vicoli stretti senza lasciare traccia. Le case in pietra, con le facciate ancora a vista, sono quelle di un tempo: nella parte inferiore del paese sono modeste, rurali, e mentre ci cammini accanto viene naturale far scorrere una mano contro le pareti antiche. Salendo, il paesaggio cambia: questa è l’altra faccia del villaggio, con case più imponenti, più chiare e curate, collegate fra loro a formare una lunga silhouette: è il profilo di Osignano, che porge la guancia alle distese verdeggianti circostanti e la boscosa collina che l’avvolge. Fai qualche passo al di fuori dal nucleo abitato, e fedele come un animale ti accompagna il torrente: scorre tranquillo ai margini del paese, che percorri lentamente fino a sud, alla cappella di San Rocco, un gioiellino del XVII secolo. Ecco, dopo tutto l’hai capito da quando l’hai vista, timida, da lontano. Sta qui la bellezza di Osignano: non ha niente a che fare con i grandi eventi o le attrazione turistica, ma c’entra tutto con i denti di leone che crescono sul selciato, la melodia dei torrenti che incessantemente scorrono, e l’abbraccio denso e boscoso della natura tutto intorno.
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  • Andelfingen
    2024/10/07
    Andelfingen ha case a graticcio con strutture di legno ben visibili. Ha vigneti sui pendii soleggiati, e campi di grano dorato alternati ai prati verdi. Ha l’aspetto e l’anima tipici della regione vitivinicola di Zurigo, e vi si trova proprio al centro. Oggi, Andelfingen ha anche te. Vedi il villaggio dal basso, salendo il pendio: l’aria è fresca, i sentieri che attraversano i campi ti accompagnano lo sguardo. Eccolo, in cima alla salita: nel punto più alto la chiesa domina la vista, e le campane stanno suonando. Battono il tempo regolarmente, a ritmo con il tuo cammino, oggi come molti secoli fa. Attorno alla chiesa, i casali hanno facciate tradizionali e se ne stanno raggruppati in modo compatto, formando un nucleo storico che conserva l'organizzazione tipica del villaggio agricolo. Prosegui il cammino fino al ponte di legno coperto che attraversa il fiume Thur: le assi sono ormai levigate dal passaggio delle persone e dalle intemperie, ma sono solide, immobili, e hanno reso Andelfingen un centro di passaggio e frontiera per la regione. Il fiume non si ferma: ti affacci a guardarlo, mentre i vapori dell'acqua fresca ti si depositano sulle braccia, e immagini il vecchio mulino e la sua grande ruota massiccia in un altro tempo, quando ancora era in funzione e scandiva la quotidianità del villaggio. Ma vai oltre, ancora oltre: fino al castello di Andelfingen. È forse lui il punto forte, e sorveglia il promontorio già dal 1700. Entri nel parco, e subito sai perchè è tanto amato in Svizzera: gli alberi secolari e le aiuole sono sistemati con precisione, lungo i viali ombreggiati, e creano una cornice ordinata e pacifica che dà ancor più rilievo all’imponenza del castello. Ha mura robuste, linee eleganti e barocche, e domina il paesaggio come fosse la cosa più naturale del mondo. Come se questa parte di mondo fosse fatta per lui, per ammirarlo fuori e dentro. Allora, eccolo dal di dentro: gli interni hanno affreschi e arredi raffinati, e ti rimandano ai tempi dei balli, dei grandi eventi. Ancora oggi, durante l'inverno, le sue sale storiche si animano di mostre, concerti e manifestazioni. Ti vedo, adesso non puoi far a mano di sorridere: pensi che sarà ben contento, questo orgoglioso castello, di essere ancora il centro del proprio mondo.
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